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Test delle ghiandole salivari per il Parkinson

Studi in corso presso la Mayo Clinic in Arizona (Stati Uniti)

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Placche amiloidi associate al declino mentale nel Parkinson

46 pazienti parkinsoniani, di cui 35 presentavano funzioni cognitive (mentali) normali e 11  compromissione cognitiva lieve, sono stati sottoposti periodicamente ad esami neurologici, neuropsicologici ed alla acquisizione di neuroimmagini PET con un tracciante particolare che permette di rilevare le placche di amiloide per 5 anni.  Inizialmente i risultati PET non permettevano di distinguere tra i due gruppi.  Nel corso di 5 anni 6 pazienti hanno sviluppato demenza, 5 nel gruppo con compromissione cognitiva lieve ed uno nel gruppo normale.  I valori di amiloide erano predittivi per il peggioramento cognitivo, mentre non erano correlati all'andamento della compromissione della funzione motoria.

Le placche di amiloide sono un reperto tipico della malattia di Alzheimer


Fonte: Gomperts SN e coll Neurology online 12 dicembre 2012

Partito lo studio pilota per testare le staminali contro una grave forma di parkinsonismo

ricerca con staminali per il parkinsonTrattato il primo paziente, i primi risultati preliminari tra tre mesi

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha autorizzato l’inizio della sperimentazione supportata dalla Fondazione Grigioni e che si svolgerà alla Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano indirizzata alla valutazione della sicurezza e dell’efficacia di una terapia a base di cellule staminali autologhe nella PSP (Paralisi Supranucleare progressiva), una forma grave di parkinsonismo.  Si tratta di una terapia a base di cellule staminali mesenchimali prelevate dal midollo osseo dei pazienti stessi ("autologhe") e reimmesse nell'organismo vicino alle parti malate del cervello tramite un catetere introdotto nell'arteria femorale e spinto in alto fino alle arterie che entrano nel cervello. E’ dimostrato che le cellule staminali mesenchimali sono in grado di produrre fattori di crescita che contribuiscono a prolungare la sopravvivenza delle cellule nervose.  L’obiettivo sarà verificare che l’introduzione di tali cellule in prossimità delle aree colpite dalla malattia possa  prolungare la sopravvivenza delle cellule nervose malate.
L’ISS ha chiesto l’inserimento di una fase pilota, in cui 5 pazienti verranno trattati e monitorati per un determinato periodo di tempo allo scopo di mettere bene a punto la terapia ed assicurarne la sicurezza.  
Dopo aver valutato i risultati di questa prima fase, la sperimentazione continuerà con una seconda fase, in cui è previsto il reclutamento di 20 pazienti, di cui 10 verranno trattati subito con le staminali e dopo 6 mesi verranno sottoposti ad una simulazione della procedura, mentre gli altri 10 verranno sottoposti prima alla simulazione e dopo 6 mesi alla terapia. Nel corso di questa seconda fase, definita “in doppio cieco”, né i pazienti, né i medici valutatori sapranno quando il paziente viene trattato con le staminali, per cui saranno in condizioni di doppia cecità, per evitare che eventuali pregiudizi possano influenzare i risultati.
Lo studio verrà svolto tramite la collaborazione di tre centri:  
·    il centro Parkinson ICP a Milano, dove avverrà il reclutamento dei pazienti e la loro valutazione clinica; 
·    la Fondazione IRCCS Ca’ Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, dove le cellule staminali mesenchimali verranno prelevate dal midollo osseo, isolate, coltivate e opportunamente preparate presso la Cell Factory “Franco Calori” del Centro di Medicina Trasfusionale, Terapia Cellulare e Criobiologia, e somministrate presso l’Unità di Neuroradiologia Diagnostica ed Interventistica; al Policlinico i pazienti verranno anche sottoposti a valutazioni tramite tecniche per l’acquisizione di neuroimmagini del cervello presso l’Unità di Medicina Nucleare
·    il Reparto di Bioingegneria del Politecnico di Milano, dove i pazienti verranno sottoposti all’analisi multifattoriale computerizzata della funzione motoria 
I 5 pazienti per la fase pilota sono già stati reclutati. Il primo paziente è già entrato nello studio ed è stato trattato con le staminali in data 18 dicembre 2012.  Si prevede di presentare i risultati della fase pilota all’ISS nel primo trimestre del 2013.
Il costo dello studio è molto alto, quasi interamente sostenuto dalla Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson.
Ogni paziente ha un costo di circa 26000 Euro. Per ora abbiamo fondi per i primi cinque pazienti. Contiamo sulla generosità di tutti.

Placche amiloidi correlate alla instabilità posturale e difficoltà nel cammino

Ulteriori evidenze sul ruolo delle placche amiloidi nel Parkinson

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Viaggio a Lima, per le staminali

pezzoli.jpgIntervista al Prof G Pezzoli, Direttore del centro Parkinson ICP e Presidente AIP, nonchè Presidente della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson

JH:  Professore, ho saputo che ha accompagnato un paziente (o una paziente?) a Lima, dove ha ricevuto una terapia a base di cellule staminali.  Come mai ha consigliato questa soluzione?  Non è appena iniziata una sperimentazione con le staminali presso l’Istituto che Lei dirige?

GP:  A dire il vero, io non ho consigliato questa soluzione al paziente (usiamo il genere maschile per garantire l’anonimato, potrebbe trattarsi anche di una paziente).  Anzi, questo paziente non è grave ed il mio consiglio sarebbe stato di aspettare di avere la possibilità di ricevere la terapia qui in Italia.  E’ stato il paziente ad essere impaziente ed a volere la terapia subito.

JH:  E come mai proprio a Lima?  E’ un posto molto lontano.

GP:  Il paziente aveva assistito alla presentazione di un radiologo interventista di Lima, il Dr Brazzini, che è di origine italiana, in occasione del convegno AIP 2011.  Egli tratta già pazienti con malattia di Parkinson con cellule staminali autologhe prelevate dal midollo osseo del paziente stesso da tempo.  Il Dr Brazzini gli ha ispirato fiducia e non ha voluto aspettare.

JH:  Perché? Al centro Parkinson in Italia la lista di attesa è lunga?

GP:  Attualmente noi abbiamo l’autorizzazione per trattare 5 pazienti affetti da una forma di parkinsonismo grave, la PSP.  Dopo avere mandato una relazione su questa esperienza preliminare, abbiamo intenzione di partire con la sperimentazione vera e propria, sempre nei parkinsonismi.  Non abbiamo una autorizzazione per la malattia di Parkinson.  In futuro, se i risultati nel parkinsonismo saranno favorevoli, speriamo di ottenerla, ma non conosciamo esattamente i tempi.  Vi sono poi ostacoli di ordine economico, perché si tratta di procedure molto costose.

JH:  Ho capito perché il paziente ha voluto farsi trattare adesso là, ma perché è andato anche Lei?

GP:  Mi interessava conoscere la loro tecnica e le loro procedure, dato che hanno già esperienza.  Il Dr Brazzini è stato molto disponibile, mi ha permesso di accedere alla sala operatoria e mi ha spiegato tutto punto per punto.

JH:  Allora, mi racconti.

GP:  Prima di partire avevamo mandato tutta la documentazione relativa al paziente, comprensiva di filmati, affinchè il neurologo a cui si appoggia il Dr Brazzini potesse pronunciarsi e dichiarare che l’intervento era fattibile e che il paziente era un valido candidato che avrebbe potuto beneficare dalla procedura.  Siamo arrivati domenica e lunedì il paziente si è recato alla clinica privata del Dr Brazzini.  La clinica è dotata di sala operatoria, ma non di stanze per la degenza, il Dr Brazzini si appoggia a strutture limitrofe per il monitoraggio del paziente dopo l’intervento.  Il paziente è stato sottoposto ad esami di controllo per escludere eventuali rischi operatori (es. test della coagulazione), nonché ad una visita neurologica.   Il giorno dopo, martedì, è stata eseguita la procedura:  prelievo di un campione di midollo osseo dall’anca, separazione della frazione contenente cellule staminali, preparazione di una infusione in soluzione fisiologica 1:10 e, dopo circa 3 ore, loro reinfusione per via intra-arteriosa, tramite un catetere inserito nella arteria femorale e portata in alto fino all’arteria vertebrale, nel tentativo di portarle il più vicino possibile alle parti malate del cervello.

JH:  Il paziente era cosciente?  Hanno usato una anestesia regionale o generale?

GP:  Il paziente non era cosciente, loro ricorrono alla anestesia totale.

JH:  C’è stato qualche problema?

GP:  No, gli operatori sono esperti, hanno una grande manualità e notevole esperienza.

JH:  In Italia userete la stessa tecnica?

GP:  Non esattamente.  La tecnica è sovrapponibile per quanto riguarda il prelievo di campione di midollo osseo dall’anca e la reinfusione intra-arteriosa tramite catetere inserito nell’arteria femorale, ma differisce per quanto riguarda le staminali.  Noi impieghiamo molto più tempo per la preparazione della infusione di cellule staminali, tant’è vero che le due procedure di prelievo e reinfusione avverranno a settimane di distanza. Noi isoliamo solo le cellule staminali mesenchimali, che sono quelle utili per secernere fattori di crescita, e rimuoviamo le altre.  Le cellule staminali mesenchimali non sono tantissime, per cui le facciamo moltiplicare in coltura in laboratorio e questo richiede tempo e l’uso di reagenti e macchinari molto costosi.  Ecco perché la nostra procedura costa così tanto, ma secondo noi ne vale la pena.

JH:  Quando il paziente si è svegliato, come si sentiva?

GP:  Bene.  Il giorno dopo era già in giro a visitare chiese ed a fare acquisti ….

JH:  Bene?  Tutto qui?  Non sta meglio?

GP:  Per ora, agli esami di controllo prima della partenza, è tutto come prima.  Si può solo affermare che la procedura non è stata associata ad effetti collaterali.  In seguito si vedrà.  Secondo il Dr Brazzini, il miglioramento può comparire dopo pochi giorni, ma generalmente impiega qualche settimana a comparire, anche fino a 3 mesi.   

JH:  Finora, quanto tempo è passato dalla procedura?

GP:  Un paio di settimane.  Finora il paziente al telefono mi ha riferito che non ha notato nulla di diverso.  Ho intenzione di rivederlo dopo le vacanze di Natale.  Allora saranno passate 5 settimane e qualche cambiamento ci potrebbe essere.

JH:  Forse dipende anche dal tipo di paziente.  Era un paziente con Parkinson in fase avanzata o con malattia iniziale?

GP:  Una malattia lieve non posso dire di più. Mi dispiace, come ho già detto, ho garantito al paziente l’anonimato totale, per cui non posso riferire nulla.

JH:  Mi scusi, ha ragione, l’aveva detto.  Va bene.  Mi permetterò comunque di rifarmi viva a gennaio per sentire se il paziente è migliorato. Nel frattempo Buon Natale e Felice Anno Nuovo a Lei ed alla Sua famiglia.

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Il ganglioside GM1 potrebbe essere neuroprotettivo

Pubblicati risultati in  pazienti parkinsoniani trattati per due anni

Il ganglioside GM1 è una sostanza che si trova naturalmente nel cervello e che fa parte integrante del rivestimento esterno delle cellule nervose.  Riveste un ruolo importante nello sviluppo dei neuroni e nella loro sopravvivenza, e controlla molte funzioni cellulari.
Studi in laboratorio hanno evidenziato che l'aggiunta del ganglioside GM1 è in grado di salvare neuroni danneggiati, prolungandone la sopravvivenza sia in provetta che in animali da esperimento.
Ora neurologi dell'ospedale universitario Jefferson a Philadelphia (Stati Uniti) hanno completato uno studio clinico preliminare che suggerisce che questa attività neuroprotettiva si esplica anche in pazienti parkinsoniani.  Lo studio era una sperimentazione controllata in 94 pazienti parkinsoniani (77 trattati con il ganglioside) con tre gruppi ed assegnazione casuale (randomizzata) al gruppo di trattamento:  un gruppo veniva subito trattato con il ganglioside GM1 e la terapia proseguiva per 120 settimane, un secondo gruppo inizialmente assumeva placebo (una sostanza inerte) per 24 settimane e poi passava al ganglioside GM1, che poi veniva assunto per 96 settimane ed il terzo gruppo veniva trattato in maniera convenzionale senza alcuna terapia aggiuntiva.  Il parametro primario di efficacia era la variazione del punteggio motorio sulla scala UPDRS.  Alla fine dei primi 6 mesi i pazienti che avevano ricevuto il ganglioside GM1 hanno presentato un miglioramento significativo del punteggio motorio, che si è mantenuto sia alla settimana 72 che alla settimana 120 alla fine del trattamento.  
I ricercatori affermano che, qualora questi risultati vengano confermati in uno studio più ampio, GM1 potrebbe essere di notevole beneficio per i pazienti affetti da malattia di Parkinson
Fonte: comunicato stampa dell'ospedale universitario  Jefferson di Philadelphia
Schneider et al J Neurol Sciences online 30 November 2012 

Paziente parkinsoniano vince causa in tribunale contro colosso farmaceutico

Vita rovinata a causa di gravi compulsioni indotte da dopamino agonista

Un paziente parkinsoniano francese sposato e padre di due figli, dirigente di banca, ha comincato ad assumere un dopamino agonista, ropinirolo, nel 2003. Entro due anni ha sviluppato una compulsione incoercibile per il gioco d'azzardo (scommetteva sulle corse di cavalli), ha perso 82.000 euro ed è arrivato persino messo a vendere i giocattoli dei suoi bambini per finanziare il suo vizio. Come se non bastasse ha sviluppato anche una compulsione per il sesso omosessuale, organizzando incontri in ambienti ambigui ed in un caso ha subito violenza. La sofferenza è stata tale che è arrivato a tentare il suicidio più volte. Ha cominciato a sospettare che la causa di questi gravi cambiamenti della sua personalità fosse il farmaco anti-parkinson che assumeva quando ha letto di casi simili su Internet. Così ha smesso di assumerlo nel 2005 ed è tornato come prima.  L'azienda farmaceutica ha dichiarato pubblicamente che il farmaco poteva avere questi effetti, inserendoli nel foglio illustrativo, nel 2006.

Ora ha vinto una dura battaglia legale ed è contento che giustizia è stata fatta. Tuttavia, afferma che i soldi non potranno mai risarcire veramente "gli anni di dolore"   

Fonte:  The Independent  29 November 2012

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Gelosia patologica e dopamino agonisti

gelosia e dopamino agonistiEffetto collaterale infrequente con questa classe di farmaci

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il placebo può anche fare male

effetti collaterali in 2 pazienti parkinsoniani su 3

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Psicofarmaci e Parkinson

Negli anziani aumentano il rischio di sviluppare la malattia

E’ noto che alcuni tipi di psicofarmaci detti anche neurolettici possono avere come effetto collaterale lo sviluppo di sintomi parkinsoniani.  In genere è sufficiente sospendere la terapia per ottenere la regressione completa di tali sintomi
Ricercatori francesi hanno seguito quasi 3.000 anziani per 15 anni, di cui 117 hanno sviluppato parkinsonismo e 43 malattia di Parkinson.  Hanno rilevato che il 22% dei soggetti con parkinsonismo ed il 33% dei soggetti con malattia di Parkinson erano stati trattati con psicofarmaci, mentre tale percentuale era inferiore tra i soggetti che non si sono ammalati.  Hanno calcolato che il rischio di sviluppare una malattia vera e propria era aumentata di tre volte tra gli anziani trattati con psicofarmaci neurolettici (in particolare 3.6 per le benzamidi e 2.6 per le fenotiazine).  Gli autori consigliano di limitare l’uso dei psicofarmaci tra gli anziani.  
Fonte:  Foubert-Samier e coll  Neurology 2012; 79: 1615-1621

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Sintomi non motori ed indici di infiammazione

Correlazioni che suggeriscono l'uso di anti-infiammatori

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E se il difetto fosse nella membrana nucleare?

Scoperta con le cellule staminali indotte di pazienti parkinsoniani

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Non demonizziamo subito un farmaco

Dr. ZanettiniIntervista al Dr. Renzo Zanettini sul sospetto da parte di FDA che pramipexolo sia associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco

JH: Dr Zanettini, Lei è tra gli autori di uno dei due studi su cui si basa il sospetto della massima autorità sanitaria americana – FDA – che il trattamento a base del dopamino agonista pramipexolo sia associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco. Come avete avuto l'idea di condurre uno studio sugli effetti del pramipexolo sul cuore?

RZ: A dire il vero, lo studio faceva parte di una iniziativa di farmacovigilanza con lo scopo di valutare il profilo di sicurezza su un altro dopamino agonista, la cabergolina. Noi avevamo chiaramente dimostrato che questo farmaco è associato allo sviluppo di valvulopatia cardiaca (vedi notizia).  Lo studio è stato esteso alla intera classe di dopamino agonisti per confrontare il profilo di sicurezza della cabergolina con quella degli altri composti appartenenti alla stessa classe farmacologica. Nell'ambito dello studio è emerso che il rischio di scompenso cardiaco era superiore con pramipexolo rispetto a quanto riscontrato con gli altri dopamino agonisti.

JH: Vi aspettavate questo risultato?

RZ: Assolutamente no. Per questo inizialmente abbiamo pensato che i dati fossero alterati da un altro effetto collaterale del farmaco ovvero la comparsa di edema (ristagno di fluidi senza coinvolgimento del cuore), ma l'aumento del rischio è rimasto anche dopo le opportune correzioni per presenza di edema.

JH: Quale è il meccanismo alla base dell'effetto collaterale?

RZ: Non lo sappiamo. Secondo me, varrebbe la pena di effettuare ulteriori indagini per scoprirlo.

JH: Ciò nonostante, è certo che il pramipexolo è associato ad un aumento del rischio di scompenso cardiaco? Dopo tutto, FDA ha fatto un annuncio cauto, ha parlato di sospetti …

RZ: Effettivamente non ne siamo certi. Tuttavia, anche altri ricercatori hanno riscontrato questo aumento dei casi di scompenso cardiaco tra i pazienti trattati con pramipexolo, per cui è probabile.

JH: Allora non bisogna più utilizzare il pramipexolo?

RZ: Non ho detto questo. Non demonizziamo subito un farmaco non appena viene sospettato di avere un effetto collaterale finora sconosciuto. Bisogna considerare il rapporto rischio – beneficio. E' vero, è probabile che pramipexolo causi scompenso cardiaco, ma questo è stato visto in una bassa percentuale dei pazienti trattati (circa l'1%), non in una percentuale elevata, come per esempio la valvulopatia da cabergolina, che si verifica in 1 paziente su 4 (25% circa). Questo basso rischio deve essere considerato alla luce della ottima efficacia del farmaco contro la sintomatologia motoria nel Parkinson.

JH: Allora, come consiglia di usarlo?

RZ: Consiglio di usarlo come prima. Tuttavia, i pazienti cardiopatici dovranno essere monitorizzati con maggiore attenzione, effettuando tutte le indagini adeguate per evidenziare precocemente la eventuale comparsa di segni di scompenso cardiaco. Qualora lo scompenso si dovesse verificare, il farmaco dovrà essere sospeso e le autorità per la farmacovigilanza dovranno essere informate dell'accaduto.

JH: Grazie, Dr Zanettini, per avere dedicato del tempo a chiarirmi le idee.


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Neuroimmagini DAT potrebbero avere significato prognostico

Studio in 491 pazienti.

Sono stati sottoposti a neuroimmagini ottenute tramite SPECT ed un tracciante per il rilievo dei trasportatori della dopamina (DAT) 537 soggetti di cui 491 presentavano deficienza di dopamina. I pazienti sono stati seguiti mediamente per 5,5 anni . E' stato stabilita una correlazione tra bassi livelli di DAT basali e la gravità della compromissione motoria, le cadute e l'instabilità posturale, la compromissione cognitiva, la psicosi e la depressione. Il cambiamento osservato nelle neuroimmagini dopo 22 mesi era associato agli esiti motori, cognitivi e comportamentali. Soggetti nel quartile (quarto) inferiore al basale avevano un rischio 3 volte più alto di sviluppare compromissione cognitiva ed un rischio 13 più elevato di psicosi. Gli autori dichiarano che i risultati sono promettenti ma devono essere confermati da altri.

 

 

Fonte: Ravina e coll Movement Disorders online 13 settembre 2012

Riconoscimento internazionale per il Progetto Africa

cilia_arg.jpgLa Federazione Mondiale dei Neurologi e la Movement Disorders Society co-sponsorizzano un corso di formazione in Africa coordinata dalla Fondazione Grigioni 

Intervista al Dr Roberto Cilia, medico neurologo presso il Centro Parkinson ICP a Milano, detto “Primario d'Africa” in quanto dirige l'ambulatorio per il Parkinson che la Fondazione Grigioni sponsorizza in Ghana 

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Fumo e Parkinson: un nesso genetico

Correlazione tra gene della dipendenza da nicotina ed età di insorgenza della malattia

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Addio al Cardinal Martini

Intervista al neurologo curante Prof. Gianni Pezzoli

D: Professore, sappiamo che lei è stato il neurologo personale del Cardinal Martini negli ultimi dieci anni. È stata per lei un'esperienza speciale?
R: Il Cardinal Martini era una persona speciale, per credenti e non credenti e penso che il suo fascino maggiore sia dipeso proprio dalla sua scelta di rivolgersi così frequentemente al popolo dei non credenti. Io l'ho seguito per dieci anni, a Milano, a Roma e a Gerusalemme, l'ho incontrato decine e decine di volte, ne sono diventato amico. È logico che mi sia difficile separare il racconto clinico dalle emozioni umane che ho provato in questo periodo.

D: Si son dette tante cose sull'evoluzione delle ultime settimane del Cardinale, che sia stata usata una sedazione, quasi un'eutanasia, una “dolce morte”. Lei può aggiungere qualcosa a ciò che è stato detto? I pazienti sono ansiosi di saperlo, abbiamo da loro ricevuto centinaia di domande.
R: Non si possono raccontare tutti i dettagli delle ultime settimane del Cardinale senza violarne la privacy. Diciamo che preferirei parlare di una persona nelle condizioni del Cardinal Martini, anche perché tutto sommato l'evoluzione della malattia di Parkinson del Cardinale è stata molto normale, ha avuto ben poco di inusuale.

D: E quindi cosa ci può dire di quello che è accaduto?
R: A ottantacinque anni, con 16-17 anni di malattia alle spalle, ci si trova in genere di fronte ad un paziente molto fragile. È raro che ci sia soltanto la malattia di Parkinson, è più frequente che ci siano anche cardiopatie con aritmie cardiache, problematiche pressorie e molto altro. In generale, la terapia è complessa, con assunzioni frequenti. La gestione di un paziente di questo tipo richiede un'organizzazione molto competente e dedicata. Il cardinale ha avuto la fortuna di essere assistito nell'organizzazione generale da Don Damiano Modena, in quella infermieristica da Marco De Lucchi, Marisa Allevi e Michele Paiotta; e per quella medica dal Prof.Rocca, dal Dott.Tosetto. Nella fase finale è intervenuta anche la dottoressa Ianna.

D: Quindi un'organizzazione completa, una specie di ospedale?
R: Sì, è stata un'organizzazione di grande efficienza. Purtroppo anche le organizzazioni migliori non possono impedire che la malattia avanzi. Com'è noto, l'evento scatenante è avvenuto verso la metà di agosto, quand'è comparsa una disfagia (incapacità a deglutire) quasi completa.

D: Questo capita a molti pazienti con malattia di Parkinson?
R: La disfagia è un sintomo sfavorevole, che si presenta in una fase avanzata della malattia. Nel Cardinale, un fenomeno analogo si era verificato un paio di anni fa e ne aveva ridotto moltissimo il volume della voce. Questi episodi possono essere correlati a microembolizzazioni, spesso legate ad aritmie cardiache o altro.

D: La disfagia può provocare anche gli episodi di dispnea (difficoltà a respirare) che si verificano nei pazienti con malattia di Parkinson?
R: Questi episodi sono in realtà generalmente correlati non alla disfagia, ma agli effetti collaterali a lungo termine della terapia farmacologica. Nei malati di Parkinson può presentarsi una sensazione di affanno senza che vi sia una reale difficoltà nella respirazione; il paziente stesso può capire la natura del sintomo osservando le proprie unghie: se le unghie sono rosee, significa che la respirazione avviene in maniera efficace, e quindi l'affanno è solo una sensazione, altrimenti le unghie diventerebbero bluastre.

D: Per trattare la disfagia del Cardinale, avete proposto il posizionamento di un sondino naso-gastrico?
R: In generale, questa è la soluzione di prima scelta e anche la più semplice, anche se il sondino non può restare in sede per tantissimo tempo e quindi è giusto, da subito, pensare ad un futuro in cui sarà necessario l'utilizzo di una PEG (gastrostomia endoscopica percutanea) per soddisfare i fabbisogni nutrizionali. Poi, dovremmo pensare all'aspirazione delle secrezioni, perché purtroppo la disfagia provoca uno scolo continuo di saliva a livello bronchiale.

D: E tutto questo è stato proposto al Cardinale?
R: Tutto ciò è stato spiegato, ma tanto più la terapia si è presentata complessa, tanto più il Cardinale si è dimostrato non disposto a seguirla. Ci siamo così trovati di fronte ad un paziente che assumeva per bocca sempre meno alimenti e con modalità particolari (addensati e gelificati). Faceva anche una grandissima fatica ad assumere tutte le compresse che aveva in terapia, la quale ad un certo punto è stata drasticamente semplificata. Da subito, la disfagia ha provocato tosse, soprattutto durante la notte, talvolta incoercibile. Quindi, abbiamo dovuto ricorrere ad una sedazione, prima notturna e poi anche diurna. Il cardinale è sempre stato lucido, fino all'ultimo giorno, quando in seguito ad una ridotta assunzione della terapia per il Parkinson (per incapacità a deglutirla) ed un fenomeno disfagico sempre più invalidante, ha subito una sedazione più consistente da parte della dott.ssa Ianna, che si occupa di terapie palliative.

D:Quindi si può parlare di eutanasia?
R: Si può parlare di una morte naturale in cui al paziente è stata ridotta la sofferenza, che inevitabilmente si presenta in queste condizioni patologiche.

D: Qualcuno ha detto che al cardinale è stata concessa una “buona morte”, mentre ad Eluana Englaro no.
R: Quella del Cardinale era una situazione in fase rapidamente evolutiva, destinata a concludersi in pochi giorni. Quella di Eluana era invece una condizione stabile. In ogni caso, non voglio entrare nel merito di polemiche che mi sembrano ora abbastanza fuori luogo.

D: Siete stati quindi molto bravi a mantenere in discreto stato le condizioni del Cardinale in questi ultimi anni e  fino alla fine.
R: Le persone che gli sono state intorno lo hanno seguito certamente con competenza e con amore, l'evoluzione della malattia è stata tutto sommato lieve, basti pensare che il Cardinale ha potuto lavorare  fino alla fine di giugno, seppure con molta fatica. Non è sempre così.
Ho di lui solo ricordi sereni. Lo vedo ancora quando all'arrivo mi accoglieva felice e quando poi mi salutava, alla fine della visita, ancora più felice e sembrava che dicesse, ai suoi, intorno “bene ora mettiamoci a lavorare”.
Mi mancherà molto.

Analisi della voce per diagnosticare il Parkinson

voce e parkinson

Progetto in cerca di 10.000 volontari.

Un matematico ricercatore alla Massachussetts Institute of Technology (MIT, Istituto per la Tecnologia del Massachusetts, USA), Max Little, è responsabile per un progetto di ricerca che ha come scopo il monitoraggio elettronico delle patologie neurologiche a distanza tramite telefono. Ha messo a punto un programma per il Parkinson basato sulla registrazione della voce che permette di predire il punteggio sulla scala UPDRS con un errore del 6%.

Ora sta lavorando ad un altro programma per la diagnosi di malattia di Parkinson al telefono tramite l'analisi della voce: la diagnosi si basa sul rilevamento di alterazioni della voce, tra cui si annoverano la sua debolezza, il tremore e la mancanza di fiato. Per la messa a punto del programma ha bisogno di analizzare la voce di 10,000 soggetti. Chiede volontari che facciano una telefonata della durata da 3 a 5 minuti. Chi fosse interessato a partecipare può consultare il sito www.parkinsonsvoice.org   Almeno per ora, non vi è un numero convenzionato per l'Italia.  

 

Fonte:   Max Little – comunicazione al convegno TedGlobal ad Edimburgo. 

Italiani dichiarano di avere scoperto una causa della malattia di Parkinson

La riduzione della proteina c-Rel che protegge contro lo stress ossidativo

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Sperimentazioni con cellule staminali mesenchimali autologhe nel Parkinson e parkinsonismi. A che punto siamo

pezzoli2.jpgIntervista al Prof Gianni Pezzoli, Direttore del Centro Parkinson ICP a Milano e Presidente AIP e della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson

JH:  Ho chiesto di intervistarla perché ricercatori coreani hanno appena pubblicato un lavoro in cui hanno ottenuto risultati positivi in pazienti affetti da MSA con le cellule staminali mesenchimali autologhe (MSC). Mi può spiegare esattamente che cosa sono?

GP:  Sono cellule che si trovano nel midollo osseo e che sono multipotenti ovvero possono trasformarsi in altri tipi di cellule, tra cui i neuroni. Inoltre, producono fattori di crescita che possono essere utilizzate da altre cellule in difficoltà. Si pensa che costituiscano un meccanismo di riparazione naturale del corpo perché in modelli animali è stato dimostrato che quando vi è una piccola lesione, per es. un piccolo ictus nel cervello, vengono immessi nel sangue e vanno ad accumularsi nella sede della lesione. Sono facili da raccogliere da un piccolo campione bioptico del midollo osseo (si fa un piccola puntura in corrispondenza dell’anca) e da coltivare in laboratorio. Inoltre, essendo del paziente stesso non danno adito a problemi etici e non creano problemi di rigetto.

JH:  Allora nelle malattie neurodegenerative MSC potrebbero funzionare sia prendendo il posto dei neuroni che sono venuti a mancare, sia aiutando quelli rimasti, ma ammalati ed in difficoltà

GP:  In realtà, noi riteniamo che sia molto più probabile che intervengano con i fattori di crescita, perché anche se si trasformassero in neuroni, non sarebbero in grado di riformare i circuiti nervosi andati perduti.

JH:  Mi ricordi anche che cosa è la malattia MSA

GP:  MSA sta per Multiple System Atrophy ovvero atrofia multisistemica.  Si tratta di un parkinsonismo, una malattia neurodegenerativa che somiglia alla malattia di Parkinson perché i malati presentano molti sintomi parkinsoniani, ma che in realtà è dovuta ad una patologia neurodegenerativa molto più estesa (ecco perché viene chiamata Multisistemica – interessamento di molti sistemi), che coinvolge, per esempio, anche il sistema nervoso autonomo che regola la pressione, la sudorazione e la frequenza cardiaca. È una patologia più grave della malattia di Parkinson che peggiora molto più in fretta. I ricercatori hanno trattato questi malati, perché così era più facile rendersi conto se la terapia rallentava la progressione della malattia oppure no.

JH:  Gli autori concludono proprio questo ovvero che la terapia a base di MSC permette di rallentare la progressione della malattia. Ma siamo sicuri che è proprio così?

GP:  Bisogna valutare questa affermazione con cautela. Tuttavia, al contrario degli studi precedenti, questo studio è stato condotto in maniera ineccepibile da punto di vista scientifico. Innanzitutto, i pazienti trattati con MSC sono stati confrontati con pazienti simili che venivano trattati con un placebo (infusione di acqua senza le cellule; il flacone era opportunamente ricoperto in modo che non si potesse vedere che la soluzione era limpida e non torbida come quella con MSC) in condizioni di doppia cecità ovvero  non solo i pazienti, ma anche i medici che dovevano valutare l’andamento dei pazienti non erano a conoscenza di chi era trattato con che cosa, in modo da rimuovere l’effetto inconscio di eventuali convincimenti personali.  Inoltre, i pazienti sono stati valutati non solo clinicamente tramite i punteggi UMSARS, che dipendono anche dalla valutazione personale del medico, ma anche tramite neuroimmagini che forniscono dati più obiettivi. Infine, i pazienti non erano moltissimi (33 in tutto), ma il numero era comunque sufficiente in base a considerazioni statistiche ed i risultati non evidenziano una tendenza, ma un dimezzamento del peggioramento di importanza clinica. In conclusione, i dati sono di buona qualità e convincenti. Naturalmente, la scienza si basa sulla riproducibilità del dato, per cui è importante che questi dati vengano confermati anche da altri centri

JH:  Ci sono altri studi in corso con MSC nel Parkinson e/o nei parkinsonismi?

GP:  Sono a conoscenza di uno studio in corso presso un ospedale militare cinese in pazienti affetti da malattia di Parkinson. E poi ci sarebbe il nostro studio in un altro parkinsonismo, la Paralisi Supranucleare Progressiva (PSP).

JH:  Perché parla al condizionale?

GP:  Perché noi abbiamo impostato lo studio e raggiunto un accordo con la Cell Factory (Fabbrica delle Cellule) ben due anni fa, ma non siamo ancora riusciti ad avviarla.  Trattandosi di una sperimentazione con le cellule staminali abbiamo dovuto chiedere l'autorizzazione all’Istituto Superiore di Sanità. Abbiamo avuto un incontro preliminare e ci hanno chiesto di dimostrare che MSC utilizzabili fossero presenti nel midollo osseo dei pazienti affetti da PSP. Abbiamo prelevato campioni di midollo osseo di tre pazienti ed abbiamo dimostrato non solo che le MSC c’erano, ma anche che era possibile indurle a proliferare in laboratorio ed a produrre il fattore di crescita BDNF. Ci hanno anche chiesto se vi era il rischio che le MSC, che non sono piccole, potessero formare grumi nel catetere con rischio di formazione di emboli. Abbiamo eseguito prove in laboratorio che hanno escluso questa possibilità. A questo punto abbiamo chiesto una autorizzazione formale, convinti che ci avrebbero dato l'autorizzazione. Invece ci hanno chiesto prove nell'animale che le MSC nell’encefalo non proliferino dando luogo a crescita tumorale. Studi di questo tipo richiedono mesi per la loro esecuzione. In ogni modo, il mese scorso abbiamo completato anche questi studi con successo: i ratti a cui sono state impiantate MSC di origine umana nella parte striata del cervello hanno presentato una crescita normale e l’autopsia non ha documentato alcuna proliferazione anormale.  

JH:  Allora adesso dovrebbero dare l’autorizzazione. Mi sembra di capire che fossero preoccupati per la sicurezza. Vi era motivo di esserlo?

GP:  Chiaramente è una terapia innovativa e bisogna procedere con cautela. Quando abbiamo presentato la domanda vi erano studi in aperto che documentavano la comparsa di piccole lesioni ischemiche dopo la somministrazione della terapia in alcuni pazienti, come è avvenuto anche in quest'ultimo studio, in cui addirittura un paziente ha presentato sintomi neurologici (contratture muscolari) per due giorni. Tuttavia, nel caso specifico PSP è una malattia neurodegenerativa che purtroppo porta al decesso in pochi anni (mediamente 8) e per la quale non vi è alcuna terapia curativa, per cui personalmente ritengo che il rischio sia giustificato.

JH:  Oltre ad essere il direttore del Centro Parkinson ICP a Milano Lei è anche il Presidente dell'Associazione Italiana Parkinsoniani. Che cosa dicono i pazienti?

GP:   I pazienti non vedono l'ora di sottoporsi alla terapia. Facciamo enormi sforzi per convincerli a non fare viaggi della speranza in paesi come la Cina, dove gli standard sanitari a cui siamo abituati non sono garantiti. In particolare, i tre pazienti sottoposti a prelievo di midollo osseo sono rimasti molto delusi. Il nostro protocollo di studio prevede, oltre alla valutazione dell'andamento di punteggi relativi alla gravità della malattia ed all’acquisizione di neuroimmagini, anche una sofisticata analisi computerizzata del cammino per la valutazione della funzione motoria. Per questo motivo possono essere reclutati solo pazienti in grado di stare in piedi e camminare un piccolo tratto. Ormai sono passati due anni e questi pazienti sono prevedibilmente peggiorati; sono in sedia a rotelle e quindi non rispettano più i criteri di inclusione. A questo punto, avendo già raccolto le loro MSC,  volevamo trattarli come “casi compassionevoli” fuori protocollo. Purtroppo il comitato etico ha ritenuto che, non essendo già disponibili dati clinici sulla efficacia e sicurezza della terapia a base di MSC, e non essendoci nemmeno l'autorizzazione alla sperimentazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità, non fosse possibile dare una autorizzazione neanche per questo.

JH:  Adesso questi dati ci sono. Professore, grazie per il tempo che mi dedicato. Le auguro che possa ottenere rapidamente l'autorizzazione alla sperimentazione e che confermi i risultati incoraggianti dei coreani.