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Smettere la terapia anticolesterolo con le statine aumenta il rischio di Parkinson

StatineUno studio in più di 43800 soggetti

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Il Parkinson coinvolge anche i nervi della faringe e della laringe

faringe laringe parkinsonTrovati corpi di Lewy

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L’epilogo della storia degli idrocarburi come fattori ambientali di rischio per il Parkinson

Intervista al Professor Gianni Pezzoli, Direttore del Centro Parkinson ICP, nonché Presidente della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson e dell'AIP Associazione Italiana Parkinsoniani

 

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Passati al setaccio migliaia di lavori per giungere ad una conclusione definitiva: i pesticidi e gli idrocarburi solventi sono fattori di rischio per la malattia di Parkinson

CeredaIntervista con il Dr. Emanuele Cereda
Medico nutrizionista e ricercatore presso Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

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Idrocarburi solventi e pesticidi: confermati come fattori di rischio per il Parkinson

La conferma da una metanalisi di 104 studi

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Atti del 35° convegno nazionale AIP Gravedona, Palazzo Gallio 13 aprile 2013

Tavola rotonda II - Progetti della AIP e della Fondazione Grigioni

Fondazione Michael J Fox - Prof. G. Pezzoli
La Fondazione Grigioni è orgogliosa di annunciare di essere stata scelta dalla Fondazione dell'attore americano affetto da malattia di Parkinson Michael J Fox per portare in Italia una iniziativa chiamata Fox Trial Finder (FTF).  
Si tratta di una banca dati che raccoglie da un lato informazioni sugli studi sulla malattia di Parkinson e parkinsonismi in corso e dall'altro informazioni su pazienti che desiderano prendervi parte. Lo scopo è di promuovere il reclutamento di pazienti negli studi. Aumentare la velocità di reclutamento significa accelerare il completamento delle ricerche e quindi contribuire a velocizzare la introduzione di nuove terapie.  
L'iniziativa partirà tra qualche mese. Verrà comunicato come registrarsi nella banca dati non appena la banca dati sarà stata messa a punto dagli informatici.

Riabilitazione  Dr. G. Frazzitta
Negli ultimi anni la riabilitazione per i malati di Parkinson si è notevolmente evoluta.  
È stato dimostrato che l'uso di stimoli visivi o uditivi (i cosiddetti “cues”) possono migliorare la lunghezza del passo, i blocchi improvvisi della marcia (“freezing”) e l'equilibrio. Altro elemento importante è il tapis roulant (“tappeto ruotante”), che nell'ambito di importanti studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali si è dimostrato uno strumento fondamentale  per migliorare le caratteristiche del passo (lunghezza e velocità) dei pazienti parkinsoniani. Il paziente parkinsoniano ha difficoltà nell'iniziare in maniera automatica un movimento ed a mantenerlo nel tempo. Se si utilizza un tapis roulant il paziente è obbligato dallo scorrimento del tempo a mantenere un ritmo corretto e costante del cammino, allenandosi così in maniera efficace.
Mancano ancora studi sulla durata ottimale della riabilitazione nel paziente parkinsoniano. Tuttavia, è stato effettuato uno studio negli anziani con tendenza alle cadute, che ha permesso di stabilire che serve un totale di 50 ore, 25 sedute di 2 ore ciascuna.  
In base all'esperienza acquisita ed alla letteratura scientifica è stato messo a punto un percorso riabilitativo intensivo che prevede, in regime di ricovero ospedaliero, 3 sedute giornaliere ciascuna di circa 60 minuti, 5 giorni la settimana per 4 settimane: durante la prima seduta il paziente effettua lavoro individuale con un fisioterapista che lo induce a prendere coscienza dei suoi problemi per quanto riguarda la postura, l'equilibrio e la funzionalità delle articolazioni, proponendo strategie per correggerli. La seconda seduta prevede lavoro con diverse apparecchiature (tra cui, ovviamente, il tapis roulant assieme ai “cues”) scelte apposta per facilitare il riapprendimento della corretta sequenza dei gesti richiesti per compiere determinati movimenti ovvero una rieducazione cognitiva. La terza seduta prevede esercizi di tipo occupazionale atti a migliorare l'autonomia nelle attività del vivere quotidiano: scrivere, girarsi nel letto, alzarsi da una poltrona, uso di utensili, ecc. Questo protocollo si è rivelato essere particolarmente efficace nel rallentare l'evoluzione della malattia e nel ridurre la necessità di aumentare il dosaggio farmacologico. Se un paziente si mantiene autonomo ed è in grado di camminare correttamente non avverte la necessità di aumentare il dosaggio farmacologico e può mantenere una buona qualità della vita interrompendo quel circolo vizioso disturbi del cammino-riduzione dell'autonomia-peggioramento clinico responsabile del decadimento della vita dei pazienti parkinsoniani.
Idealmente bisogna iniziare la fisioterapia nelle fasi iniziali della malattia, perché è più facile prevenire che correggere. Questo vale soprattutto per il pazienti veramente disposti ad applicarsi ed a trarne il massimo. Questo concetto non è noto a tutta la classe medica; vi è un grande bisogno di formazione. In questo paese esiste una figura professionale che non esiste altrove, quella del fisiatra, che non ha una preparazione specifica per il Parkinson e spesso rifiuta di dare l'accesso alla fisioterapia ai pazienti in fase iniziale, anche perché mancano le strutture.  Bisogna pensare che i parkinsoniani sono circa 200.000 in Italia, 22-25.000 nella sola Lombardia.  
Attualmente AIP dispone di quasi un centinaio di letti in 3 centri in Lombardia, una rete che permette di riabilitare più di 1000 pazienti all'anno:
·    Gravedona (il convegno si è tenuto qui per festeggiare l'apertura di questo centro) che ha 40 letti  per i percorsi di fisioterapia intensiva per 4 settimane, descritti in precedenza
·    Trescore Balneario (40 letti) che prevede un percorso individualizzato in base alle necessità, che comprende anche interventi particolari, come la logopedia e la psicoterapia
·    Cernusco sul Naviglio (16 letti), che prevede un percorso misto con sessioni sia di lavoro individuale che di gruppo, in quanto è stato osservato che occorre sia il primo per intervenire sui problemi individuali che in secondo per stimolare il malato. Il fiore all'occhiello di questo centro è la sessione settimanale per il caregiver tenuto da un neuropsicologo con una grande esperienza con malati di Parkinson, il Dr. De Gaspari
AIP lavora per proporre soluzioni sostenibili per il Servizio Sanitario Nazionale che siano vantaggiose per i pazienti.  È chiaro che questo deve avvenire non solo in Lombardia, ma anche a livello nazionale.

DOTE INPDAP LOMBARDIA Dr.ssa M.T. Scarpa
È un progetto realizzato in collaborazione con la Regione Lombardia che prevede un aiuto economico alla famiglia di 4000 euro, nonché la possibilità di accedere ad una serie di servizi, quali l'assistenza socio-assistenziale al domicilio, completa e per periodi programmati o improvvisi, in sostituzione del caregiver o dell'assistente familiare e servizi di telesoccorso/ telesorveglianza a domicilio per periodi di assenza del caregiver. I requisiti per l'accesso sono i seguenti:
·    titolare di una pensione INPDAP (ha questo tipo di pensione chi ha svolto un lavoro alle dipendenze dello Stato, quali per es. gli insegnanti) o avere un coniuge che lo è  
·    riconoscimento dell'invalidità civile al 100%
·    reddito con indicatore ISEE inferiore o uguale a 30.000,00 Euro
I fondi sono ancora disponibili ed i parkinsoniani con questi requisiti sono pregati di rivolgersi alla AIP.

PROGETTO AFRICA  Dr. R. Cilia
La Fondazione ha aperto un primo ambulatorio dedicato al Parkinson in Ghana presso un centro comboniano indicato dal cardinal Martini alcuni anni fa. Il progetto si è esteso ed ora la Fondazione supporta tre centri in Africa  ed il numero di pazienti parkinsoniani seguiti ormai supera il centinaio.
L'esperienza è stata unica nel suo genere.
Da un lato la Fondazione ha svolto una attività umanitaria, permettendo a persone gravemente disabili, dopo la diagnosi di malattia di Parkinson e l'assunzione di levodopa, di ritornare alla vita.
Dall'altro neurologi ricercatori hanno avuto l'opportunità di osservare pazienti con molti anni di malattia mai trattati con levodopa, una popolazione di pazienti inesistente nel mondo occidentale. L'osservazione ha permesso di stabilire che le cosiddette complicazioni da terapia con levodopa a lungo termine (fluttuazioni motorie ovvero funzionamento intermittente) in realtà compaiono rapidamente anche nei pazienti con malattia di Parkinson in fase avanzata mai trattati prima (addirittura dopo la prima somministrazione!). Questa è stata una osservazione fondamentale. Finora si pensava di rimandare l'uso della levodopa il più possibile per non “bruciarsi” questa opzione terapeutica e rimandare la comparsa delle complicazioni. Ora si è capito che rimandare l'introduzione di questo farmaco non serve.
Attualmente una equipe multidisciplinare che comprende neurologi, nutrizionisti e neuropsicologi va in Africa due volte all'anno. Tra una visita e l'altra i pazienti vengono seguiti dai medici locali, che non sono neurologi.  
Si è sentita la necessità di renderli più autonomi tramite una attività di formazione. La Fondazione organizza un corso di formazione sulla diagnosi e gestione delle malattie neurodegenerative  dal 16 al 18 settembre p.v. ad Accra, in Ghana. Ciascuno dei 30 ospedali in Ghana può mandare un medico al corso. Lo scopo è di creare una rete di medici ospedalieri con nozioni di neurologia di base per la diagnosi ed il trattamento delle patologie neurologiche in Ghana. Dopo il corso tutti i partecipanti avranno la possibilità di rivolgersi tramite e-mail ai docenti, inviando documentazione e videoregistrazioni di pazienti per avere consigli su come gestire i casi dubbi. L'iniziativa è co-sponsorizzata dalla Federazione Mondiale dei Neurologi e dalla Movement Disorders Society assieme alla Fondazione Grigioni.



MUCUNA PRURIENS  Dr.ssa E. Cassani
Attualmente circa 120 pazienti in Africa sono in trattamento con levodopa. Molti di questi pazienti sono indigenti e non possono permettersi di pagare il farmaco, il cui costo attualmente è sostenuto dalla Fondazione. Con il tempo e l'aumento del numero di pazienti questo impegno sta diventando gravoso, per cui sono iniziate ricerche per trovare una soluzione.
Nella medicina ayurvedica viene consigliato per la malattia di Parkinson l'estratto di una pianta, Mucuna Pruriens. Si tratta di una leguminosa diffusa in Asia, Africa e Sud America. Sono stati raccolti semi della pianta venduti in Africa e sono stati analizzati per capire quali potessero essere i principi attivi. È stata individuata la presenza di levodopa.   I semi sono stati poi sottoposti a vari tipi di cottura per stabilire come varia la concentrazione di levodopa e quali consigli dare per utilizzare questo alimento a scopo terapeutico.
Attualmente si sta pensando ad un progetto di ingegneria genetica per poter eventualmente aggiungere alla pianta la carbidopa, che sembra essere contenuta nella fava gialla iraniana, in modo da ottenere una seme che contenga l'associazione di levodopa e carbidopa (i principi attivi del prodotto Sinemet) nelle giuste proporzioni.
Questo progetto non ha solo fini umanitari, come il trattamento dei pazienti nei paesi in via di sviluppo, ma tutto il progetto africano è una preziosa fonte di informazioni importantissime per la ricerca scientifica internazionale e per cercare di sconfiggere la malattia.


BANCA DEI TESSUTI NERVOSI    Dr. C. Ruffmann
La Banca dei Tessuti Nervosi (BTN) è una componente fondamentale della biobanca presso il Centro Parkinson ICP che ha tre finalità:
·    Ottenere una diagnosi definitiva e certa della patologia di cui soffriva il paziente
·    Raccogliere campioni di tessuto che possono essere offerti a ricercatori per studi scientifici a livello internazionale, soprattutto per cercare di correlare i sintomi con i reperti neuropatologici e per studiare l'espressione dei geni/epigenetica (RNA) ovvero quanto si manifesta un gene portato di mutazione
·    Ricerca scientifica locale che comprende una serie di progetti:  
·    Parkinson associato a mutazione sul gene della Parkina (Park2)
·    Soggetti con Parkinson e storia di esposizione a sostanze neurotossiche
·    Alterazioni dei microtubuli (parte dello scheletro della cellula) come componente nello sviluppo della malattia
·    Studio delle quantità di ferro contenute nei neuroni per valutare il ruolo dei depositi di questo metallo nella progressione della malattia
La Banca ha già permesso di approfondire i reperti anatomo-patologici in un portatore di mutazione del gene LRRK2 (Park8)
L'adesione prevede un consenso. Si ricorda che in occasione della raccolta, che deve avvenire rapidamente entro poche ore dal trapasso, vi è il massimo rispetto della salma. L'eventuale trasporto in ambiente idoneo per la raccolta è a carico della Fondazione.
Chi volesse aderire è cortesemente pregato di rivolgersi alla Fondazione Grigioni in via Zuretti 35, Milano.


CELLULE STAMINALI  Discussione con contributi della Dr.ssa R. Giordano, Prof. G .Pezzoli, Dr.ssa M. Canesi ed un intervento della paziente trattata a Lima
La discussione inizia con l'affermazione che è importante rispettare le leggi, che esistono per tutelare noi cittadini.  Le scorciatoie non convengono mai, anche se questo significa dover aspettare autorizzazioni per molto tempo. La produzione del materiale da infondere presso un centro regolarmente autorizzato, in grado di produrlo secondo le norme della Buona Pratica di Fabbricazione (Cell Factory, Policlinico di Milano) offre garanzie per quanto riguarda sia la identificazione del materiale infuso (possibilità di affermare con certezza quali cellule hanno determinato gli effetti) sia per quanto riguarda il rischio di contaminazione. La Fondazione ha dovuto aspettare anni prima di iniziare lo studio clinico con le cellule staminali nella Paralisi Supranucleare Progressiva (PSP – una grave forma di parkinsonismo), ma ora potrà condurre lo studio regolarmente ed ottenere robuste prove scientifiche che documentano il grado di sicurezza e di efficacia delle cellule staminali mesenchimali autologhe (dello stesso paziente) in questa patologia.  
La richiesta di autorizzazione, oltre ad essere lunga, ha anche condizionato la scelta dei criteri di inclusione: era molto più facile ottenere l'autorizzazione per un parkinsonismo grave, invariabilmente fatale, per cui non esiste alcuna terapia piuttosto che per la malattia di Parkinson, che non è fatale e per cui esistono molto terapie sintomatiche.
Lo studio prevede la randomizzazione dei pazienti, ovvero la loro assegnazione casuale a due bracci di trattamento:
- un braccio prevede il trattamento a base di cellule staminali mesenchimali subito ed una simulazione della procedura dopo 6 mesi,
- l'altro braccio prevede la simulazione subito ed il trattamento dopo 6 mesi.  
Il trattamento a base di cellule staminali consiste nel prelievo di un campione di midollo osseo, l'identificazione e la coltivazione delle cellule staminali mesenchimali in laboratorio presso la Cell Factory del Policlinico di Milano e poi la loro reinfusione per via intra-arteriosa fino al cervello, sempre al Policlinico di Milano. Sono previsti esami clinici e di laboratorio per la valutazione della sicurezza, nonchè neuroimmagini del cervello e test neuropsicologici per la valutazione della efficacia.  
La Fondazione ha scelto le cellule staminali di tipo mesenchimale, perché sono quelle in grado di produrre fattori di crescita e sostanze anti-infiammatorie in grado di aiutare cellule nervose in difficoltà. Possono essere considerate dei contenitori di queste sostanze e, come tali, vengono considerati una specie di farmaco. In altre indicazioni (malattie autoimmuni) la terapia a base di cellule staminali mesenchimali è già in fase III ovvero sono già in corso studi per ottenere l'autorizzazione alla immissione in commercio, mentre lo studio proposto nella PSP è di fase I/II ovvero siamo nelle fasi ancora iniziali dello sviluppo.
Prima dello studio randomizzato è prevista una fase preliminare in aperto in cui tutti i pazienti vengono trattati con le cellule staminali per valutare la sicurezza della procedura.
Si presenta una paziente che si è sottoposta a terapia a base di cellule staminali a Lima. Afferma di essere affetta da malattia di Parkinson da 10 anni. Riferisce che la procedura è stata effettuata da una equipe molto efficiente e gentile in un ambiente in cui si rispettavano le norme igieniche. Secondo lei, ha tratto beneficio dalla terapia. In particolare riferisce che è aumentato il suo livello di energia. I neurologi che l'hanno in cura in Italia (Prof. Pezzoli, Dr. Isaias), tuttavia, non hanno riscontrato alcun cambiamento obiettivo all'esame neurologico.
Si sottolinea che a Lima viene reinfuso una specie di centrifugato del campione di midollo osseo, che conterrà cellule staminali in minima parte. La differenza tra la terapia a Lima ed a Milano viene raffigurata come la differenza che c’è tra i prodotti erboristici e quelli farmaceutici.
Per quanto riguarda lo studio a Milano, attualmente è in corso la fase preliminare in aperto, che prevede il trattamento di 5 pazienti. Due pazienti sono stati già trattati ed altri tre sono stati già reclutati. La Dr.ssa Canesi, che li ha in cura, afferma che la prima paziente ha presentato una riduzione delle distonie dolorose durante la notte e della grave rigidità del collo. Il secondo paziente attualmente è stato valutato al 15° giorno di trattamento. Durante la prima settimana dopo il trattamento ha sviluppato una infezione urinaria, mentre in seguito le condizioni cliniche sono migliorare sia dal punto di vista del paziente che del caregiver.

Nota conclusiva
Chi non ha potuto partecipare al convegno e desidera conoscere più approfonditamente il dibattito su questi argomenti può richiedere la registrazione della sessione presso la Fondazione Grigioni.

 

segue la Tavola Rotonda I

 

Atti del 35° convegno nazionale AIP Gravedona, Palazzo Gallio 13 aprile 2013

Tavola rotonda I

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A chi donare il cinque per mille?

Prof PezzoliIntervista al Prof. Gianni Pezzoli,

Presidente della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson, nonché Direttore del Centro Parkinson ICP di Milano e Presidente della AIP, Associazione Italiana Parkinsoniani

 

JH:  In questo periodo dell’anno bisogna decidere a chi donare il 5 X 1000. Sono qui per capire perché conviene donarlo alla Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, un ente morale con la missione di raccogliere fondi e sponsorizzare ricerche sulla malattia di Parkinson ed i parkinsonismi. Si riesce ancora a condurre ricerca in Italia?

GP:  Certamente. In base ad una classifica internazionale effettuata da una agenzia molto nota, la SCImago (www.scimagojr.com), l’Italia si è classificata ottava a livello mondiale per la ricerca in campo biomedico nel periodo 1996-2011, dopo Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Giappone, Canada, Francia ed Australia. Con l’eccezione del Canada e dell’Australia, si tratta di paesi che hanno un prodotto interno lordo superiore a quello dell’Italia, che risulta pertanto avere una produttività veramente buona.

JH:  Mi fa piacere pensare che la ricerca biomedica sia molto attiva in Italia. Bisogna pensare poi al campo in cui investire. Certo, la Fondazione Grigioni è attiva in un campo affascinante, quello delle cellule staminali, ma tratta la malattia di Parkinson, che non è una priorità sia perché riguarda prevalentemente la popolazione anziana, sia perché riguarda una parte limitata della popolazione (300.000 persone circa). 

GP:   Premesso che ci sono anche casi di Parkinson giovanile (l'altro giorno ho visito un paziente che aveva avuto l'esordio a 12 anni e pensiamo ad un personaggio famoso, l'attore Michael J Fox, che ha avuto l'esordio a 29 anni), ricordiamo che l'età media di esordio è 58 anni ed oggi, in seguito alla riforma introdotta dal governo Monti, si va in pensione a 67 anni ed oltre – dunque mediamente compare quando il lavoratore ha davanti a sé ancora 10 anni di lavoro. Inoltre, la malattia presenta analogie con altre malattie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer, e si pensa che possano avere fattori causali in comune. Pertanto, la ricerca sul Parkinson può avere ricadute anche  per le altre malattie neurodegenerative. Questo è molto importante, perché la frequenza delle malattie neurodegenerative nel loro complesso sta aumentando velocemente. Dato che queste malattie conducono progressivamente a disabilità anche totale, ma permettono una sopravvivenza lunga (i parkinsoniani possono vivere più di 30 anni dopo la diagnosi) finiranno per costituire un fardello insostenibile per la società se non interveniamo efficacemente.

JH:  D’accordo, mi ha convinto. Ma perché proprio la Fondazione Grigioni? 

GP:  Perché la Fondazione ha un approccio alla ricerca sulla malattia di Parkinson e parkinsonismi di vasta portata che non ha eguali. 

Tanto per cominciare, sponsorizza la banca dati clinica del Centro Parkinson ICP di Milano, che ormai contiene dati relativi a 22.000 pazienti seguiti per periodi fino a 16 anni, con documentazione particolareggiata che comprende fino a 250 variabili. Sponsorizza poi la Biobanca, che conserva materiale biologico per ricerche di vario genere, disponibile su richiesta per ricercatori sia italiani che stranieri: sangue per l'estrazione del DNA e RNA per studi di genetica, campioni di pelle per la trasformazione di fibroblasti della pelle in cellule staminali, campioni di tessuto nervoso per studi istopatologici. 

Inoltre sponsorizza molti altri tipi di ricerca: ricerche sui fattori ambientali, studi di approfondimento sui farmaci anti-parkinson, nonché studi sui circuiti nervosi documentati con le neuroimmagini, progetti internazionali (per es. il progetto Africa) e ricerca sulle cellule staminali. Per approfondimenti si può consultare il sito www.parkinson.it

JH:   So che attualmente avete uno studio in corso sulle cellule staminali. A che punto è?

GP:  Abbiamo già trattato 2 pazienti e ne abbiamo reclutati altri 3. Quando abbiamo trattato i primi 5 pazienti dobbiamo relazionare all'Istituto Superiore di Sanità, perché l'autorizzazione è soggetta a questa clausola. Se tutto procede bene, avremo l'autorizzazione a proseguire e trattare altri 20 pazienti.

JH:  Se non erro, la PSP è una forma di parkinsonismo che è rara. Avrete problemi a reclutare gli altri 20 pazienti?

GP:  Assolutamente no. Migliaia di pazienti afferiscono al Centro Parkinson ICP dove si svolge ed abbiamo tante richieste. Si figuri che siamo stati contattati anche da pazienti negli Stati Uniti. 

JH:  Dagli Stati Uniti? Per loro non è più facile andare a Lima, dove ha accompagnato Lei una paziente?

GP:   Le due terapie non sono identiche. In entrambi i casi viene prelevato un campione di midollo osseo e le staminali vengono reinfuse tramite un catetere nelle arterie che portano il sangue al cervello. Tuttavia, a Lima la parte del midollo osseo che contiene staminali viene reinfuso subito, mentre nel nostro studio ci sono due fasi intermedie, eseguite presso la Cell Factory (“Fabbrica delle Cellule”) del Policlinico di Milano: 1) isolamento delle cellule staminali di un tipo particolare, le cellule staminali mesenchimali, che producono fattori di crescita in grado di prolungare la sopravvivenza di cellule nervose; 2) la loro coltivazione in vitro in modo da produrre un numero elevatissimo di cellule staminali mesenchimali da infondere. Così riteniamo che ci siano più probabilità di ottenere un effetto terapeutico significativo.

JH:  Come sono andati i primi due pazienti? 

GP:   Sono andati bene, non si è verificato alcun effetto collaterale. Per quanto riguarda eventuali effetti terapeutici, qualcosa ci sembra di avere visto. Tuttavia, è presto per poter dire qualcosa con certezza, perché tutti i primi 5 pazienti saranno trattati con le staminali e lo sanno. Il miglioramento che si osserva potrebbe essere dovuto al cosiddetto effetto placebo: un paziente è convinto che la terapia funzionerà e si sente subito meglio, anche se in realtà la terapia non funziona – è un inganno della mente. Potremo veramente  affermare qualcosa dopo avere trattato i successivi 20 pazienti in cieco ovvero in condizioni in cui non sanno se hanno ricevuto la terapia a base di staminali oppure solo una simulazione della procedura. Purtroppo abbiamo fondi per trattare solo i primi 5 pazienti. A meno di ricevere ulteriori donazioni, non potremo effettuare la parte in cieco. Stiamo parlando di una cifra considerevole, perché ciascun paziente costa quasi 30.000 euro.

JH:  Quasi 30.000 euro per un paziente! Come mai costa così tanto?

GP:  Innanzitutto ci sono le spese della Cell Factory, che richiede attrezzature e reagenti molto costosi. Poi c'è la spesa per la degenza necessaria per l'esecuzione della infusione intra-arteriosa delle cellule, perché il SSN non riconosce le degenze per motivi di ricerca. Inoltre, i pazienti vengono seguiti per un anno, durante il quale oltre alla usuale visita neurologica, vengono effettuati esami aggiuntivi per la valutazione della efficacia ovvero l'analisi multifattoriale computerizzata dei movimenti; acquisizione di immagini del cervello tramite SPECT e PET ed una serie di test neuropsicologici. 

JH:  Veramente una valutazione approfondita, non c’è che dire. Lascio ai lettori giudicare in base a questa intervista ed a quanto risulta sul sito a chi donare il 5X1000. Chi volesse donarlo alla Fondazione troverà sul sito le modalità per effettuare la donazione.

 

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Viaggio a Lima, per essere trattata con le staminali

A Lima per le staminaliLa paziente accompagnata dal Prof. Pezzoli racconta

JH:  Innanzitutto grazie per acconsentito di parlare con me, anche e soprattutto da parte di tutti i pazienti che hanno chiesto di lei.

Paz:  Confesso che inizialmente avevo intenzione di rifiutare, perché è doloroso per me parlare della mia malattia. Poi ho pensato agli altri pazienti. Mi sono messa nei loro panni ed ho capito che un resoconto da parte mia può essere importante  … ed eccomi qui.

JH:  Cominciamo dall’inizio.  Come mai ha deciso di andare a Lima? 

Paz:  Ormai sono ammalata da 10 anni.  La malattia cominciava veramente a farsi sentire, sentivo di peggiorare, ero in crisi e dovevo fare qualcosa.  Avevo partecipato al convegno AIP nel 2011 e lì  avevo incontrato il Dr. Brazzini, che opera a Lima.  Lui mi aveva ispirato fiducia.  Nell'estate del 2012 ho pensato di contattarlo e chiedergli se riteneva che la terapia a base di cellule staminali che lui somministra potesse essere utile nel mio caso.  Ha voluto ricevere tutta la mia documentazione e la risposta è stata affermativa.  Così, sono partita.

JH:  Nel frattempo è partito uno studio anche qui in Italia.  Perché non ha aspettato di farlo qui?

Paz:  L'estate scorsa lo studio non era ancora autorizzato.  In ogni modo ho fatto bene, perché lo studio è autorizzato solo in una forma rara di Parkinson, non per la malattia di Parkinson solita che ho io.

JH:  La procedura è stata come se lo aspettava?

Paz.  No, è stata molto meglio.

JH:  Molto meglio?!  Che cosa intende?

Paz:  All'andata ero un po' preoccupata.  Invece l'equipe del Dr. Brazzini è molto efficiente.  Mi hanno spiegato tutto nei dettagli e mi hanno fatto firmare un consenso.  Poi, tutto è successo esattamente come avevano detto, sembrava che seguissero una tabella di marcia al minuto, senza perdere un colpo.  Inoltre, tutti sono stati gentilissimi.  Insomma, mi sono trovata veramente bene. 

JH:  Mi racconta concretamente che cosa è successo?

Paz:  Prima della procedura mi hanno fatto degli esami del sangue per l'anestesia ed un esame neurologico,  poi mi hanno anestetizzato per il prelievo del campione di midollo osseo da cui estrarre le mie cellule staminali.

JH:  Anestesia di quale tipo: locale, spinale o generale?

Paz:  generale con la mascherina.  Ho perso conoscenza, ma per poco tempo (20 minuti circa).  Dopo qualche ora, era pronta l'infusione e mi hanno anestetizzato di nuovo, questa volta per più tempo.  Poi mi hanno portato in ospedale, dove ho trascorso la notte, una misura precauzionale nel caso fosse insorta qualche complicazione.

JH:  Come è stato il risveglio?

Paz:  molto positivo, mi sentivo benissimo, piena di energie. 

JH:  Non faceva male dove avevano infuso le cellule staminali?

Paz:  Avevo un cerottone sul pube perché la infusione era stata fatta nell'arteria femorale, ma non faceva male.  Il cerotto è stato tolto il giorno dopo prima della dimissione.  Non vedevo l'ora, perché con le nuove energie avevo voglia di andare in giro.

JH:  Andare in giro?

Paz: Sì, il giorno dopo la procedura sono andata a fare un giro turistico.

JH:  E nei giorni successivi?

Paz:  Ogni giorno andavo per un controllo che veniva fatto personalmente dal Dr. Brazzini.  Mi hanno anche offerto una seduta con uno psicologo per capire come convivo con la malattia ed elaborare la particolare esperienza della terapia con le mie cellule staminali.  L'ultimo giorno prima della partenza sono stato visitata anche dal neurologo.

JH:  C'è stato qualche effetto collaterale?

Paz:  No, tutto bene.  E l'energia è rimasta per tutto il tempo.

JH:  Quanto si è trattenuta in Perù?

Paz.  Una settimana.

JH:  E al ritorno?

Paz:  Al rientro sono andata al mare e sono stata benissimo.  Prima di partire prendevo lo Stalevo ogni 3 ore.  Al rientro potevo rimandare l'assunzione e prendere la compressa anche 1 o 2 ore più tardi.  Questo è durato per un mese.  Poi, purtroppo sono peggiorata e sono tornata quasi come prima.  Ho notato che ora la differenza tra il bene dell'ON ed il male dell'OFF è maggiore, prima c'era meno differenza. 

JH:  Allora i benefici sono scomparsi

Paz:  No, i benefici ci sono ancora, ma meno pronunciati.  Diversi amici mi hanno detto che mi vedono meglio.

JH:  E la sua famiglia cosa dice?

Paz:  Anche i miei familiari mi vedono meglio.  Soprattutto mio figlio minore mi dice che sono migliorata.

JH:  “E’ migliorata” è un po' vago. Non può spiegare meglio, magari fare qualche esempio  pratico?

Paz:  Il livello di energia è rimasto più alto di prima, mi stanco meno, riesco a fare di più.

JH:  Per esempio, che cosa riesce a fare di più?

Paz:  Quando vado in palestra a fare step, prima non riuscivo a continuare per un'ora come gli altri partecipanti “normali”, ora invece sì.

JH:  Un'ora di step!!  Io, che non ho il Parkinson, non riuscirei con il mio ginocchio malandato.  Effettivamente, bisogna ammettere che l'energia non le manca.

E ora l'ultima domanda, la domanda più importante: lo rifarebbe?

Paz:  Assolutamente sì.  Il bilancio è positivo, nessun effetto collaterale ed il beneficio c’è, anche se, lo confesso, speravo che fosse di più.  Del resto il Dr. Brazzini aveva detto che gli effetti variano da paziente a paziente e che a volte una infusione non basta.

JH:  Allora intende tornare a Lima?

Paz:  No, non credo, almeno spero di no.  Ormai lo studio con le staminali del Prof. Pezzoli è partito in Italia ed io preferirei ricevere un'altra infusione qui per tutta una serie di motivi: innanzitutto il Prof. Pezzoli è il mio neurologo di fiducia e preferirei affidarmi a lui; altri motivi sono che qui c'è la garanzia del Servizio Sanitario Nazionale e poi qui la terapia con le staminali è diversa. Il Professore mi ha spiegato che qui l'infusione non si riceve poche ore dopo il prelievo di campione di midollo osseo, ma alcune settimane dopo, perché si isolano le cellule che servono e si fanno moltiplicare in modo da poterne infondere tante.  Non so, io non sono un medico, ma mi sembra che così possa funzionare meglio. 

JH:  Perché ha detto che spera di non dover tornare a Lima?

Paz:  Perché attualmente l'autorizzazione per trattare i pazienti con malattia di Parkinson come me non c’è.  Temo che quando ne avrò bisogno in futuro io non possa riceverlo in Italia.

JH:  Ci auguriamo tutti che questo non succeda.  Vedrà, se i risultati dello studio sulla terapia a base di cellule staminali nella PSP sono positivi,  le autorità cambieranno il loro atteggiamento.  Grazie ancora per la sua disponibilità da parte di tutti i lettori.

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Trattamento del parkinsonismo grave con le cellule staminali

Conferenza Stampa a Milano - 11 aprile 2012, Giornata Mondiale del Parkinson

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Stimolazione magnetica transcranica migliora i sintomi motori parkinsoniani

Dimostrazione in studio giapponese di prima qualità

Ricercatori giapponesi hanno reclutato 106 pazienti affetti da malattia di Parkinson e li hanno assegnati in maniera casuale (randomizzazione) a tre bracci di trattamento: stimolazione magnetica transcranica (SMT) focalizzata sull'area motoria supplementare del cervello a bassa frequenza (1 Hz) (n=36 pazienti);  SMT ad alta frequenza (10 Hz) (n=34); simulazione realistica (n=36).  Sia i pazienti che i ricercatori erano in cieco ovvero non sapevano quale terapia fosse stata assegnata (doppio cieco).  Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad 1 seduta della terapia assegnata alla settimana per 8 settimane.  Gli effetti sulla funzione motoria misurati sulla scala UPDRS e su sintomi non motori, tra cui la depressione e l'apatia, sono stati misurati per 20 settimane.  
E' stato documentato un miglioramento del punteggio motorio UPDRS pari a 6.8 punti alla 20a settimana nel gruppo trattato con SMT a bassa frequenza, mentre negli altri gruppi è stato osservato un miglioramento transitorio.  Non vi sono state variazioni importanti dei sintomi non motori e non sono stati segnalati effetti collaterali  importanti.
La conclusione dell'articolo è che questo studio randomizzato e controllato con una simulazione in doppio cieco costituisce evidenza di prima qualità della efficacia di SMT a bassa frequenza sulla sintomatologia motoria parkinsoniana.
 

Lo studio EARLYSTIM sulla DBS in pazienti nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson: risultati preoccupanti

pezzoli.jpgIntervista al Prof. Gianni Pezzoli, Direttore del Centro Parkinson ICP di Milano, nonché Presidente della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson e di AIP, Associazione Italiana Parkinsoniani

 

JH:  Professore, si parla molto dei risultati positivi dello studio EARLYSTIM sulla DBS (terapia chirurgica basata sull'impianto di elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda) in pazienti nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson. È stato pubblicato su una rivista molto autorevole (New England Journal of Medicine) ed è stato effettuato in un congruo numero di pazienti (250) seguiti per 2 anni, un tempo sufficientemente lungo per poter dare un giudizio attendibile sull'esito della terapia. So che finora avete sempre consigliato questa terapia nelle fasi avanzate della malattia, quando la terapia medica non controlla più la sintomatologia. Questo studio vi indurrà a modificare i vostri criteri di selezione per la DBS?

GP:  Tendenzialmente no. Questo studio non mi convince fino in fondo, e un poco mi preoccupa.

JH:  La preoccupa?!?  E perché?  È stato pubblicato su una rivista autorevole, sicuramente è stato valutato da diversi esperti prima di essere pubblicato, i risultati saranno sicuramente veritieri.

GP:  Sì, i risultati  sono veritieri, non ho dubbi su questo. Il problema sta nella loro interprestazione: vengono presentati come positivi, mentre in realtà non lo sono.

JH:  Non capisco. I risultati sono evidenti: in media, rispetto alla terapia medica, la DBS ha permesso di ottenere una qualità di vita superiore del 27%, un punteggio motorio migliore del 49%, le complicazioni motorie sono diminuite del 74% ed i malati hanno potuto ridurre la terapia del 39% - e tutti questi confronti con la terapia medica erano statisticamente significativi, in altre parole non dovute al caso.

GP:  Sì, lo sappiamo, la DBS è efficace, ma quello che conta è il rapporto rischio-beneficio.

JH:  Ah, sì, certo, il rapporto tra efficacia e sicurezza ovvero gli effetti collaterali. Sì, è vero, più della metà dei pazienti sottoposti a DBS hanno presentato effetti collaterali importanti, ma anche il 44% dei pazienti trattati farmacologicamente hanno presentato effetti collaterali gravi. Non vi erano differenze significative tra i due gruppi. C'è stata una polemica sui suicidi nel gruppo trattato con la DBS, ma la differenza tra i due gruppi non era significativa.

GP:  Anche questo mi preoccupa, i suicidi.

JH:  Ma Professore, le ho appena detto che la differenza tra i due gruppi non era significativa: quattro (2 suicidi e 2 tentati suicidi) nel gruppo DBS ed uno nel gruppo trattato farmacologicamente. Quando la differenza non è significativa, il trattamento non può essere considerato responsabile, a meno che non ci sia un nesso con il suo meccanismo d'azione e qui io non vedo come la DBS possa agire in modo da promuovere un suicidio.

GP:  E invece sì. Io ho visto parecchi casi di depressione apatica indotta dalla DBS. È uno degli effetti collaterali più spiacevole dell'intervento, perché il paziente, anche se recupera bene la funzione motoria, non ne usufruisce perché questo effetto collaterale psichiatrico gli impedisce di condurre una vita normale. E la depressione, lo sappiamo, può condurre al suicidio.

 
JH:  Nell'articolo gli autori affermano che forse hanno selezionato un sottogruppo di pazienti che avevano già una tendenza al suicidio ed è per questo che hanno implementato un monitoraggio con lo scopo di evitare ulteriori tentativi di suicidio.

GP:  Mi sembra molto strano. Il Centro Parkinson ICP di Milano ha aperto i battenti nel 1997 e noi vediamo migliaia di pazienti parkinsoniani ogni anno. Nella nostra banca dati abbiamo i nominativi di 22.000 pazienti. Ciò nonostante, in tutto questo tempo io ho visto complessivamente non più di 3 o 4 suicidi, mentre gli autori dello studio hanno visto lo stesso numero seguendo solo 250 pazienti per 2 anni. Inoltre, se non avessero implementato un monitoraggio preventivo nel corso dello studio, probabilmente ce ne sarebbero stati ancora di più.

JH:  Allora, secondo lei, la selezione dei pazienti non c'entrava.

GP:  Non per quanto riguarda il problema dei suicidi. Detto questo, anche la selezione dei pazienti in questo studio è un problema:  hanno selezionato pazienti giovani, età media 52 anni, con una durata media di malattia di 7 anni, senza alcuna malattia concomitante e senza segni di demenza. Secondo la mia esperienza, meno di un paziente parkinsoniano su 10 corrisponde a questo profilo.

JH:  Ho capito.  Nei pazienti nelle fasi iniziali della malattia il rapporto rischio beneficio non è positivo, perché da un lato depone contro il rischio di depressione grave e potenzialmente fatale, dall’altro non è detto che si ottengano risultati così lusinghieri nella maggior parte dei pazienti parkinsoniani, che presentano caratteristiche diverse da quelle dei pazienti inclusi nello studio EARLYSTIM. Tuttavia, io ho l’impressione che Lei non sia comunque favorevole alla DBS in generale.

GP:  Questo non è assolutamente vero. In base alla nostra ampia esperienza la DBS è una terapia complessa efficace e relativamente bene tollerata in pazienti selezionati bene. Tuttavia, è una terapia chirurgica e, come tutte le terapie invasive, presenta un certo rischio, per cui il suo rapporto rischio beneficio è positivo solo quando la sintomatologia  motoria non viene più compensata dalla terapia medica.  

Inoltre, è indispensabile che l'intervento venga effettuato presso un centro di eccellenza dove opera una equipe neurochirurgica con una ampia esperienza con i pazienti parkinsoniani. Tale centro sarà necessariamente dotato di strumentazione d'avanguardia per quanto riguarda non solo la chirurgia di per sé, ma anche le tecniche per immagini e la neurofisiologia, in quanto è indispensabile la massima precisione nel posizionamento degli elettrodi per ottenere ottimi risultati. 

JH:  Come fanno i pazienti a sapere quali sono i centri di eccellenza?

GP:  I centri in Italia dove io mi farei operare non sono moltissimi, anzi.

Quindi se sono pazienti seguiti presso il Centro Parkinson ICP, li possiamo consigliare noi, in generale li inviamo presso il Policlinico di Milano dal neurochirurgo Paolo Rampini. Se un paziente, che riceva l'indicazione all'intervento dal suo neurologo, voglia sapere se un centro è valido, potrebbe chiedere quanti interventi di DBS vengono effettuati presso il centro mediamente in un anno. Se sono meno di qualche decina non si tratta di un centro con una esperienza sufficiente. Poi possono chiedere di incontrare qualche paziente che ha già affrontato l’intervento presso quel centro.

JH:   Per incontrare altri pazienti sottoposti alla DBS, penso che potrebbero rivolgersi all'AIP, Associazione Italiana Parkinsoniani, non è vero?

GP:  Certo.  Per esempio, ne parleremo al convegno annuale che quest'anno si terrà a Gravedona (lago di Como) il 13 aprile p.v. e lì verranno pazienti che sono stati sottoposti all'intervento.

JH:  Grazie Professore per il chiarimento riguardo allo studio EARLYSTIM. Continueremo a parlare di DBS a Gravedona. Chi fosse interessato a seguire i lavori può consultare la brochure del convegno presso il sito www.parkinson.it. Per chi non potesse partecipare, ci sarà la registrazione del convegno su DVD ed un resoconto su PDNews e sul sito.

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DBS efficace anche contro complicazioni motorie iniziali

I risultati dello studio EARLYSTIM

Ricercatori tedeschi e francesi hanno effettuato uno studio con lo scopo di valutare se la stimolazione cerebrale profonda (DBS) offra benefici non solo nelle fasi avanzate della malattia di Parkinson, ma anche quando compaiono le prime complicazioni motorie.

Sono stati reclutati 251 pazienti (età media 52 anni, età massima 60 anni, durata di malattia media 7,5 anni) assegnati in maniera casuale a DBS oppure terapia farmacologica. Due anni dopo l'intervento il gruppo DBS presentava una qualità di vita misurata con la scala PDQ-39 significativamente migliore (mediamente del 27% migliore rispetto al gruppo assegnato alla terapia farmacologica ), nonchè meno disabilità motoria (+49%), una maggiore capacità di eseguire le attività quotidiane (+42%), meno complicazioni motorie indotte dalla levodopa (-74%) e più tempo tempo in ON senza movimenti involontari (+18%) (tutti p inferiore a 0.001 tranne il tempo in ON senza movimenti involontari p=0.01).

La terapia farmacologica è stata ridotta mediamente del 39% nel gruppo DBS, mentre è aumentato del 21% nell'altro gruppo.

Eventi avversi gravi si sono verificati nel 54,8% dei pazienti DBS rispetto a 44,1% nel gruppo terapia medica. Nel gruppo assegnato alla terapia medica gli eventi riguardavano spesso problemi con la mobilità ed effetti collaterali della terapia farmacologica (allucinazioni e problemi comportamentali), mentre nel gruppo DBS erano correlati all'impianto (17.7%) oppure consistevano nel problema psichiatrico della depressione, che ha indotto due pazienti a suicidarsi ed altri due a tentare di farlo; i ricercatori hanno implementato un monitoraggio particolare per evitare il fenomeno.  Si è suicidato anche un paziente nel gruppo assegnato alla terapia medica.

Gli autori concludono che DBS è superiore alla terapia farmacologica anche nei pazienti parkinsoniani che presentano complicazioni motorie iniziali.

In un editoriale della rivista che ha pubblicato il lavoro, si fa presente che la popolazione dei pazienti in studio non era rappresentativa della maggior parte dei pazienti parkinsoniani, in quanto erano giovani, non avevano altre patologie o segni di demenza.  Inoltre, il fenomeno dei suicidi rende indispensabile il monitoraggio e la DBS non migliora tutti i sintomi parkinsoniani.

Fonte: Schuepbach WM e coll N Engl J Med 2013; 368: 610-22

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Farmaci generici per il Parkinson: sì o no?

pezzoli2.jpgIntervista al Prof. Gianni Pezzoli, Presidente della Associazione Italiana Parkinsoniani (AIP) e Direttore del Centro Parkinson presso gli ICP a Milano

 

 

  JH:  “Desidera il prodotto originale e paga, oppure il generico e risparmia?” Ecco una domanda che i pazienti parkinsoniani si sentono porre dal farmacista sempre più spesso. I pazienti sono impreparati a rispondere a questa domanda e si rivolgono all'Associazione Italiana Parkinsoniani (AIP) ed ai clinici per una guida. Professore, che cosa rispondiamo?

GP:  Inizialmente io ero favorevole all'idea, mi sembrava un buon modo per risparmiare risorse in una epoca in cui dobbiamo per forza risparmiare. Tuttavia, a quel tempo non mi ero bene documentato su che cosa è un generico, non è un concetto che si impara all'Università.

JH:  Certo, io so che cosa è perché ho lavorato nell'industria farmaceutica, ma non tutti lo sanno, per cui vediamo di chiarire questo concetto.

GP:  Quando scade il brevetto di un medicinale altre ditte possono “copiare” il prodotto, fabbricarlo e venderlo, ma senza il marchio (ecco perché si chiamano prodotti “generici”). Dato che il metodo di fabbricazione della ditta che ha creato il prodotto è un segreto industriale, devono mettere a punto un loro metodo di fabbricazione, che potrebbe differire notevolmente da quello originale. Inoltre, hanno l'obbligo di produrre lo stesso principio attivo, ma non è detto che gli eccipienti (le sostanze inerti che servono a tenere insieme la compressa, capsula o altra forma farmaceutica) siano identici.

JH:  Allora, in teoria, un paziente che ha tollerato bene il prodotto originale potrebbe non tollerare il prodotto generico, perché è allergico ad un eccipiente.

GP:  Proprio così. Ed ho ricevuto segnalazioni di diversi casi di questo tipo. Le reazioni allergiche possono essere gravi, nel caso di uno shock anafilattico può persino mettere il paziente in pericolo di vita. In questi casi, mi domando chi risponde delle lesioni che ha subito il paziente: il medico che ha prescritto il principio attivo oppure il farmacista che non ha dato l'originale, ma un generico? Di chi è la responsabilità? Non mi è affatto chiaro.  

Ma il problema non riguarda solo le allergie. La differenza per quanto riguarda gli eccipienti potrebbe essere così grande che il principio attivo viene assorbito in quantità notevolmente diversa: potrebbe essere assorbito troppo e quindi essere associato ad effetti di eccesso di trattamento oppure essere assorbito troppo poco e quindi non essere pienamente efficace. Ecco perché le autorità sanitarie impongono alle aziende che desiderano commercializzare prodotti generici l'esecuzione di uno studio clinico di “bioequivalenza”. In questi studi l'assorbimento del prodotto generico viene confrontato a quello del prodotto originale in volontari sani. I volontari assumono a caso prima il prodotto originale e poi quello generico oppure viceversa. Dopo l'assunzione di ciascun prodotto i volontari vengono sottoposti ad una serie di prelievi di sangue per 24 ore (a volte anche 48 ore) per vedere quali concentrazioni raggiunge il principio attivo nel sangue nell'arco della giornata e, tramite alcune formule matematiche, calcolare quanto principio attivo è stato assorbito. Inoltre, viene anche annotata la concentrazione massima raggiunta (il picco). L'entità dell'assorbimento del prodotto generico non deve differire da quello del prodotto originale di più del 20% in più o in meno; la differenza tra i picchi può essere un poco più elevata. Se queste condizioni vengono soddisfatte le autorità sanitarie daranno una autorizzazione alla immissione in commercio, a patto che il fabbricante accetti un prezzo nettamente inferiore all’originale. Il fabbricante se lo può permettere perché non ha avuto le spese per la ricerca che ha avuto l'azienda che ha creato il principio attivo.

JH:  20% in più o in meno – stiamo parlando di variazioni pari al 40%!!!. Ma questo è accettabile in clinica?

GP:  Per quanto riguarda la malattia di Parkinson, assolutamente no, è inaccettabile. Per quanto riguarda altre indicazioni, non saprei, io parlo per l'area terapeutica di mia competenza. Nel caso della malattia di Parkinson, il neurologo impiega molto tempo a mettere a punto una terapia individuale per il paziente, basata su dosi molto precise (per es. un quarto di compressa all'ora X …..) da assumere a tempi precisi, anche in relazione ai pasti che possono interferire con l'assorbimento dei principi attivi. È chiaro che la sostituzione del prodotto originale con una copia il cui contenuto può differire anche di 40% dall'originale ed il cui contenuto può anche avere un profilo di assorbimento diverso (ovvero essere assorbito più velocemente o più lentamente) compromette tutto il lavoro terapeutico svolto e può significare che un paziente ben controllato improvvisamente ridiventa sintomatico e sta male. In altre parole la possibile differenza del 40% può significare la differenza tra stare bene e stare male.

JH:  Tuttavia, il paziente si può opporre, può chiedere l'originale se glielo consiglia il neurologo curante, non è vero?

GP:  Sì, è vero, ma ormai il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) rimborsa completamente solo i prodotti generici quando il brevetto del principio attivo del prodotto originale è scaduto, ed il paziente deve pagare una parte consistente del prezzo del prodotto. Si comprende che questa situazione è dettata solo da una logica economica, che oltre tutto non si traduce in un vero risparmio, perché il paziente che sta male richiede ulteriori cure che costano.

JH:  Certo, capisco che questo possa succedere con i pazienti che già stanno assumendo il prodotto originale. Tuttavia, queste considerazioni non valgono per i pazienti di nuova diagnosi. Se a loro vengono prescritti farmaci generici fin dall'inizio, non ci dovrebbero essere questi problemi.

GP:  Non ne sarei così sicuro. Una differenza potenziale del 40% di principio attivo è tanto e potrei non ottenere i risultati attesi in base alla mia esperienza pluriennale, che è stata ottenuta con il prodotto originale.

JH:  In realtà, i farmacologi hanno studiato attentamente questo tipo di problema e affermano che non ci dovrebbero essere complicazioni.

GP:  Già, i farmacologi – che non hanno mai visto un paziente in vita loro, anche se hanno una laurea in medicina. Bisogna rendersi conto che i generici sono parecchi, ognuno differirà dall'originale in maniera diversa e non ci si può aspettare che io li conosca tutti ed adegui la terapia ogni volta che il farmacista dà un generico diverso. Inoltre, bisogna anche tenere presente che per i generici, al contrario dei farmaci originali, non esiste alcuna documentazione di efficacia. Conosciamo solo la differenza per quanto riguarda le concentrazioni del farmaco nel sangue rispetto al farmaco originale, ma non abbiamo la certezza di quanto questa differenza si traduca in differenze per quanto riguarda l'efficacia.  Questo vale in particolar modo per i preparati a rilascio prolungato: il profilo di assorbimento del generico sarà necessariamente diverso ed io non so come questo si traduca in efficacia contro i sintomi parkinsoniani. Insomma, ogni volta mi trovo davanti a delle incognite che non riesco a quantificare. 

JH:  Ma questi potrebbero essere rischi solo teorici …

GP:  No, è la spiegazione di problemi che ho avuto ripetutamente con i miei pazienti in ambulatorio. E questi problemi stanno diventando sempre più frequenti. La situazione è tale che mi sto chiedendo se le decisioni per quanto riguarda la salute dei pazienti vengono presi dal medico curante oppure da qualche politico che si illude di risparmiare.

JH:  Ho capito, Professore. La risposta alla domanda iniziale se usare i farmaci generici per il trattamento della malattia di Parkinson è chiara:  è no e Lei auspica che il SSN rimborsi il farmaco originale per evitare complicazioni cliniche che finiscono per costituire un ulteriore aggravio al SSN in termine di spesa.

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