Chi è candidato per la levodopa in gel e chi invece dovrebbe sottoporsi alla DBS (stimolazione cerebrale profonda)?
Attualmente i criteri per decidere se ricorrere alla levodopa in gel per somministrazione intraduodenale oppure per la DBS sono ancora oggetto di discussione.
Si tratta comunque di due terapie molto diverse.
La levodopa in gel per la somministrazione per via intraduodenale richiede un piccolo intervento per creare un forellino nell'addome che permette ad una sonda di somministrare questo preparato a base di levodopa direttamente nella prima parte dell'intestino, dove viene assorbito bene. La sonda è necessariamente collegata ad un infusore. Questa terapia è molto efficace e permette di sospendere completamente la terapia per bocca, ma comporta la scomodità di doversi portare dietro l'infusore. È inoltre una terapia molto costosa, per cui il Servizio Sanitario Nazionale permette al centro di effettuarla in pochi casi in cui veramente non ci sono alternative valide. Un criterio indispensabile è che il paziente non abbia gravi problemi mentali che lo rendono incapace di cambiare la cartuccia nell'infusore una volta al giorno.
L'intervento di stimolazione cerebrale profonda (DBS) consiste nell'impianto di elettrodi nel cervello che, collegati ad uno stimolatore impiantato sotto la pelle, ripristinano i circuiti cerebrali alterati a causa della mancanza di neuroni dopaminergici.
Non tutti i pazienti rispondono bene a questa terapia, che comporta dei rischi, come tutti gli interventi chirurgici. Per questo motivo, i pazienti vengono selezionati accuratamente. Uno dei criteri principali è l'età, perchè si è visto che il rischio di sanguinamento aumenta in maniera esponenziale al di sopra dei 68 anni di età. Sfortunatamente la malattia di Parkinson esordisce generalmente verso i 60 anni e risponde bene alla terapia farmacologia per parecchi anni, per cui quando il paziente non è più bene controllato ed ha bisogno della DBS generalmente ha superato i limiti di età. In uno studio recente abbiamo stabilito che solo il 2% dei pazienti parkinsoniani soddisfa tutti i criteri richiesti. Ecco perchè attualmente viene proposto uno studio per valutare l'opportunità di eseguire l'intervento nelle prime fasi della malattia.