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Endocannabinoidi: un bersaglio futuro della terapia antiparkinson?

Uno studo sul parkinsonismo svela un ruolo ausiliario di sostanze che aumentano le molecole marijuana-simili nel cervello.

Nella MdP, la carente innervazione dopaminergica dello striato produce uno squilibrio tra le due vie, diretta e indiretta, che partendo da questo importante nucleo modulano, con l'interessamento di altri gangli della base, gli stimoli facilitatori che dal talamo vanno alla corteccia; ne deriva quindi che nel Parkinson si ha una esagerazione degli impulsi inibitori che conduce ad una profonda alterazione del movimento. Varie sostanze chimiche partecipano a questa complessa regolazione, sopratutto lungo la via indiretta, ma finora erano stati poco indagati i problemi relativi alla plasticità delle sinapsi(punti di contatto fra i neuroni) delle cellule interessate. Gli autori di questo studio hanno dimostrato che anche gli endocannabinoidi, molecole endogene con struttura simile a quella dei derivati della marijuana, partecipano alla regolazione della via indiretta, esprimendo una "depressione di lunga durata" delle sinapsi, depressione che risulta invece abolita nel parkinsonismo.
Un farmaco che blocca la degradazione degli endocannabinoidi, (potenziandone quindi l'azione), l'URB597,somministrato congiuntamente ad un dopamino-agonista D2 (quinpirolo)a topi nei quali era stato indotto un parkinsonismo sperimentale, ha ridotto marcatamente il deficit motorio degli animali, suggerendo che la depressione delle sinapsi della via indiretta ha un ruolo importante nel controllo dei movimenti. Si apre dunque una nuova strada che potrebbe portare a nuove acquisizioni terapetiche per la MdP.
In una conferenza stampa , gli autori hanno messo in guardia contro la facile deduzione che il fumo della marijuana possa esercitare i medesimi effetti positivi, perchè vi sono importanti differenze fra la droga e i cannabinoidi naturalmente presenti nel cervello.

Kreitzer AC, Malenka RC - Nature - 2007; 445: 643-7.