Ottimizzazione della terapia con levodopa
Un recente articolo di esperti appena pubblicato fa il punto sulle ormai consolidate evidenze scientifiche alla base delle modalità di utilizzo della levodopa sia nella malattia di Parkinson iniziale che nella fase con fluttuazioni.
Ad oggi la levodopa rimane la pietra miliare della terapia antiparkinson, anche come trattamento iniziale.
Sono stati fatti progressi nello sviluppo di nuove formulazioni di levodopa a rilascio prolungato (l'IPX066, una capsula di levodopa/carbidopa) e di nuovi sistemi di somministrazione (sottocutaneo), tuttavia l'evidenza scientifica e l'esperienza clinica hanno indicato ormai chiaramente che i farmaci antiparkinson possono essere usati meglio in combinazione e a dosi più basse di quelle utilizzate nel passato, e che i pazienti traggono un maggior beneficio da basse dosi di farmaci diversi (levodopa, dopaminoagonisti, IMAO-B ) piuttosto che da dosi sempre più elevate di levodopa. Per esempio l'idea, nella pratica clinica, di combinare l'infusione duodenale di levodopa con gli inibitori delle COMT orali (entacapone o tolcapone) aveva consentito di ridurre la dose di levodopa del 20%, mantenendo stabili i livelli plasmatici di levodopa e il controllo dei sintomi motori. Questa osservazione ha poi portato allo sviluppo di una nuova formulazione per infusione duodenale (levodopa-entacapone-carbidopa).
L'uso in combinazione e a basso dosaggio dei farmaci antiparkinson è dunque vantaggioso perché questi farmaci hanno indicazioni simili, ma meccanismi d'azione differenti che si completano, e il basso dosaggio riduce la possibilità di eventi avversi dipendenti dalla dose.
Resta comunque fondamentale individualizzare la terapia, monoterapia o in combinazione, in base alle caratteristiche cliniche, alle esigenze e alle preferenze del singolo paziente.