Il litio potrebbe rallentare la progressione della malattia di Parkinson?
Lo ha affermato il presidente della LIMPE durante una conferenza stampa a Roma in data 8 novembre
Ricercatori del CNR hanno condotto uno studio sul litio in una malattia neurodegenerativa quasi sempre fatale, la sclerosi laterale amiotrofica detta SLA, confrontandolo con la terapia standard, il riluzolo. I risultati sono stati sorprendenti: dopo 15 mesi di terapia un terzo dei pazienti trattati con riluzolo erano deceduti, mentre nessuno dei pazienti trattati con litio lo era. Lo studio non è stato ancora pubblicato.
I risultati vengono attribuiti alla capacità del litio di attivare l'autofagia delle cellule nervose ovvero la capacità di rimuovere parti danneggiate e di riformarle, evitando un accumulo di parti difettose che conducono alla morte. Si potrebbe sfruttare questa capacità anche nella malattia di Parkinson.
Il litio è già sul mercato sotto forma di prodotti medicinali approvati per l'uso in malattie psichiatriche, quali la mania ed il disturbo bipolare, per le quali è molto efficace. Tuttavia, non conviene assolutamente iniziare a prescriverlo a pazienti parkinsoniani, prima di avere a disposizione i risultati di studi specifici condotti in pazienti parkinsoniani, in cui è stata stabilita la dose efficace nella malattia di Parkinson, perchè il litio è tossico. Quando i livelli di litio nel sangue diventano troppo alti il litio causa gravi effetti tossici, con la comparsa di sintomi anche neurologici, come il tremore e la mancanza di coordinazione, che possono condurre alla morte. I pazienti psichiatrici che assumono il litio si sottopongono regolarmente ad un esame del sangue, per controllare che il livello di litio rientri nei limiti di sicurezza.